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Famvin 2020:Intervista a Madre Alda Stroppiana, Superiora Generale della Congregazione Suore Vincenzine di Maria Immacolata

Come e quando è avvenuta la vostra fondazione?

L’articolo cinque delle nostre Costituzioni così recita:” La nostra Congregazione, nata da un’urgenza di carità …”. Il Teologo Federico Albert fece il suo ingresso parrocchiale come Vicario di Lanzo il 18 aprile 1852. Già Cappellano di Corte, fu incaricato dall’Arcivescovo a collaborare presso la Parrocchia di San Carlo in Torino, dove si prodigò nell’aiutare i poveri che abitavano nelle soffitte. Questa precedente esperienza pastorale lo rese subito molto sensibile ai bisogni dei suoi parrocchiani, in particolare dei più piccoli e più poveri. Si legge nella sua prima biografia che “quando il Vicario passava per il paese i bambini, lasciando di giocare, correvano a lui, ed egli non li respingeva mai,…”. E proprio per loro, affinché “fossero sin dai primi anni indirizzati al bene…”, nel 1858 fonda l’Asilo Infantile, affidandone la direzione alle Suore di Carità di Sant’Antida, anche denominate Suore Bige, già presenti presso l’ospedale Mauriziano di Lanzo. Dalla straordinaria sensibilità del Vicario Albert nell’avvertire i problemi e le necessità, nel 1859 nacque l’Orfanotrofio di Maria Immacolata, per accogliere le bambine orfane e pochi anni dopo nel 1866 l’Educandato femminile, per l’educazione delle giovani, sempre con la preziosa collaborazione delle Suore di sant’Antida, la cui Superiora suor Edvige, al secolo Maddalena Bussi, dimostrava di essere una persona intelligente e di buon spirito. Tutto perciò sembrava procedere per il meglio.Invece, proprio quando il Vicario Albert pensava di aver trovato una buona sistemazione per le sue opere caritative ormai avviate, ecco giungere le incomprensioni e le critiche. Queste critiche riguardavano l’operato di suor Edvige e delle altre suore presenti presso le suddette opere. Esse vennero divulgate, tanto che giunsero alle orecchie delle Superiore maggiori residenti a Vercelli, le quali intervennero e, senza tener conto della versione dei fatti inviata dal Vicario a difesa delle religiose, il 14 settembre 1868 decisero di ritirare definitivamente le suore dal servizio. Questa decisione colpiva Federico Albert proprio all’inizio dell’anno scolastico. Bisognava provvedere al personale insegnante e alla gestione di tutte le altre opere da lui fondate. Si diede da fare, interpellando i responsabili di alcune Congregazioni religiose per avere le Suore. Il Vicario Albert si recò anche dal can. Anglesio, il primo successore del Cottolengo, ma questi, invece di concedergli le suore, gli disse: ”Caro Vicario, scelga lei delle giovani che sembrino ben disposte, incominci a informarle del suo spirito e, con l’autorizzazione dei superiori, ne farà delle religiose di una Congregazione sua propria. Per quest’anno intanto cerchi di provvedere alle opere con personale secolare di sua fiducia”. Aggiungiamo qui per inciso una notizia, che risulterà significativa per gli avvenimenti che seguono. Suor Edvige, al secolo Maddalena Bussi, allontanata da Lanzo, non seppe superare la prova: era diventato per lei insopportabile il pensiero che non avrebbe mai più riacquistato la fiducia dei superiori e in quello stesso anno 1868 uscì dalla sua Congregazione. Trovandosi però in gravi difficoltà familiari ed economiche, decise di rivolgersi al Vicario Albert, il quale, pur se contrariato, vedendo la sua reale situazione di bisogno, non poté fare a meno di riceverla e di aiutarla. Si diede da fare e riuscì a trovare per lei ospitalità presso una famiglia di Lanzo come istitutrice. In seguito, quando egli dovette ricorrere a personale secolare per le sue istituzioni, affidò alla Bussi la gestione dell’Asilo Infantile. Tornando invece a Federico Albert; egli pregò intensamente e poi decise di seguire il consiglio del can. Anglesio. Incominciò ad individuare e a curare spiritualmente quelle giovani che potevano dare segni sicuri di vocazione alla vita religiosa. Iniziò anche la stesura di un Regolamento per la Congregazione, che presentò all’Arcivescovo di Torino Riccardi dei Conti di Netro il 19 marzo 1869, ottenendone l’approvazione. Diede alla nuova Associazione il titolo di “Suore Vincenzine di Maria Immacolata”.Il Vicario, con pensiero degno del suo cuore gentile e affettuoso, volle che le prime cinque religiose portassero i nomi di sua madre e delle sue quattro sorelle. Egli affidò la piccola comunità a suor Lucia, la più anziana, la quale portava il nome della sua mamma.
Un anno dopo, e precisamente il 3 novembre 1870, avveniva la seconda Vestizione di altre sei suore. Raggiunto il numero di undici, le suore, secondo il regolamento, procedettero all’elezione della superiora. All’unanimità venne eletta suor Maria Maddalena Bussi, apprezzata ed amata per le sue virtù, emerse ancora più evidenti dopo la prova attraversata.
Purtroppo il Vicario Albert morì prematuramente e tragicamente appena sette anni dopo la fondazione della sua Congregazione. In quella data del 30 settembre 1876 le suore erano circa una ventina e la sopravvivenza della piccola famiglia religiosa non fu priva di difficoltà. Si è però avverata la promessa del Padre Fondatore: “Se verrà conservato con ogni cura lo spirito dell’Istituto, tutto sempre andrà bene, anche a costo di un miracolo”. Il numero delle suore ha continuato ad essere modesto, ma la Congregazione è ancora viva oggi per festeggiare il 150° anno di fondazione. E la sua storia continua….

In cosa la vostra Congregazione riflette il carisma vincenziano?

Il carisma che il nostro Fondatore ci ha donato è quello donarci senza misura ai fratelli, soprattutto i più poveri. Esso abbraccia tute le opere di misericordia spirituale e corporale ed è animato da quello spirito di umiltà e di carità che il Fondatore ha trasmesso alle sue prime suore. Il nostro Fondatore era devoto di S. Vincenzo , tanto che ha inserito le sue massime tra le devozioni da osservare nelle prime Regole consegnate alle sue suore. Ha indicato la povertà come espressione del nostro fiducioso abbandono alla Provvidenza, secondo l’insegnamento di S. Vincenzo, come lui stesso l’ha vissuto.

Attese e aspettative per il carisma Vincenziano mentre ci avviciniamo all’incontro con i leaders della Famiglia Vincenziana in programma nel gennaio del 2020 a Roma

Ci sentiamo una piccolissima realtà nella grande famiglia Vincenziana, ma siamo contente di appartenere ad essa, anche se in molte circostanze possiamo essere presenti solo con la preghiera, a motivo del numero ridotto di suore e in maggioranza anziane e malate. Questa è la realtà nostra in Italia, mentre in Africa, e precisamente in Benin, le suore sono in aumento, anche se ancora poche. Ci auguriamo che in futuro possano essere loro più presenti per rappresentare la nostra Congregazione all’interno della Famiglia Vincenziana.

Famvin 2020: Intervista a padre Bertin Sanon, Superiore Generale dei Religiosi di San Vincenzo de’ Paoli

Come e quando è avvenuta la vostra fondazione?


Grazie e benvenuti nella nostra casa di via Palestro. E’ per me un vero piacere poter condividere con voi una riflessione sulla nostra famiglia religiosa e sulla Famiglia vincenziana. La congregazione religiosa di  Jean-Léon Le Prévost, i religiosi di San Vincenzo de’ Paoli, sono nati a Parigi il 3 marzo 1845, davanti ai resti mortali di San Vincenzo de’ Paoli dove Le Prévost con Clément Myonnet e Maurice Maignen, davanti al vescovo monsignor Guillaume Angebault, si sono votati al servizio dei poveri.Noi siamo nati dalle conferenze di San Vincenzo de’ Paoli perché il nostro padre fondatore, Jean-Léon Le Prévost, fu membro della prima conferenza con Frédéric Ozanam e gli altri compagni. Il legame con san Vincenzo e Frédéric Ozanam è un legame forte, spirituale e storico. Noi religiosi di San Vincenzo de’ Paoli potremmo essere definiti dei “conferenzieri consacrati”.


In cosa la vostra congregazione riflette il carisma vincenziano?

Vista la grandezza spirituale e la forza apostolica di San Vincenzo de’ Paoli, si potrebbe dire che noi siamo piccola cosa riflessa di ciò che è stato san Vincenzo ma al di là dei nostri limiti noi abbiamo questa convinzione profonda, che il santo ha avuto, cioè che dobbiamo amare Dio e farlo amare e conoscere ai poveri. Questo facciamo nel mondo, in Burkina Faso, in Canada, in Francia, in Brasile, in Costa d’Avorio, in Congo, in differenti modalità: fra i giovani, i poveri, le famiglie, e poi anche nelle situazioni di precarietà che possono oggi presentarsi dinanzi secondo i bisogni del momento o del luogo dove ci troviamo. In sintesi noi cerchiamo di incarnare San Vincenzo de’ Paoli oggi amando Dio e facendolo amare come servitori dei poveri. 


Gennaio 2020 dove la famiglia vincenziana raccoglie tutte le realtà che le sono vicine: quali sono le aspettative della vostra Congregazione?


Io penso che la sua intervista come il prossimo incontro di gennaio 2020 dimostrino bene che c’è una realtà che è soggiacente: il fatto che siamo parte di una stessa famiglia. Noi siamo tutti figlie e figli di San Vincenzo de’ Paoli e questa realtà è quella che andremo a vivere. Per me sarà un gran giorno e colgo l’occasione per salutare tutte le organizzatrici e tutti gli organizzatori e tutti coloro che stanno operando per la buona riuscita dell’incontro. Io penso che tutto parta da questa realtà, che noi possiamo consolidare i legami di fraternità e che oggi noi  al nostro mondo, con le sue ricchezze e la sua magnificenza ma con al tempo stesso le sue povertà e i suoi limiti, possiamo donare il valore che San Vincenzo ha incarnato: l’amore per Dio e per il prossimo. Questo è un carisma eterno perché l’amore sopravviverà a tutto. Grazie quindi e credo che noi avremo modo di operare per arrivare ad una grande coesione nella famiglia vincenziana e nella ricerca di comuni obiettivi. 


https://www.youtube.com/watch?v=qq79NMnblpk

Famvin 2020: Interview with Father Beresford Skelton, the Warden of Company of the Mission Priests

How and when did your foundation take place?

In January 1940the Superiors of three of the leading Religious Communities of the church of England: The Society of S John the Evangelist, The Community of the Resurrection and the Society of the Sacred Mission called the clergy to form a company of Mission Priests, who would undertake to remain free from personal and financial obligations of marriage and family life so that they could work, if necessary without a full stipend, and be available to go wherever they might be needed. The suggestion was that these Mission Priests would not take vows as a religious community, but would bind themselves to this form of Apostolic Life by a solemn Promise to be renewed annually. Since then the Company of Mission Priests has grown and has continued to serve both Church and people, primarily in the large housing estates and inner-city areas of England.


In what way does your Congregation reflect the Vincentian charism?
After the decision of the General Synod of the Church of England in 1992 to move towards the ordination of women to the priesthood the Company faced an uncertain future. At General Chapter in 1994 which took the form of Pilgrimage to the Shrine of Our Lady of Walsingham to ask her prayers for God’s guidance about the future we faced four alternative courses of action: Dissolution of the Company; Hibernation (remaining in existence for those already members only); Amalgamation or linking up with another compatible body; Re-launch. After pray and discussion The Company opted for Re-launch and to look at Amalgamation. In 1995 our annual chapter was addressed by Fr Fergus Kelly, who had welcomed us to Damascus House in 1994 as “fellow Mission Priests”. it was clear from his presentation that our 10 precepts of membership was Vincentian: Observe simplicity of life; remain unmarried; observe a Rule of Life governing prayer, fasting, study, pastoral work and recreation; Observe the rue of our Houses; Use the Company Prayer daily to pray for each other and our work; Offer the Mass once a month for the work of the Company; Consult the Warden of the Company upon new work being offered; Attend as of obligation annual General Chapter and give an account of our work over the year and renew our Promise; Attend local chapter meetings and cells (if any) to support and encourage  each other in our work.


What are your hopes and expectations for the Vincentian charism as we approach the meeting with the leaders of the Vincentian Family scheduled for January 2020 in Rome.
The Company of Mission Priests would hope that the Vincentian Charism would continue and develop S Vincent de Paul’s vision to work together in practical ways and on ventures that better the quality of life of those in most desperate need; that we continue to deepen our spirituality as individuals and as well as a Company to work in our various callings as we engage in Mission; that we continue to work for a systemic change in society and oppose structural injustice and work for justice; that we continue to serve support and serve those trapped in their poverty.


Famvin 2020: Intervista a don Carmine Arice, Superiore Generale della Famiglia Cottolenghina e della Piccola Casa della Divina Provvidenza

Come e quando è avvenuta la vostra fondazione?
Noi abbiamo una data discriminante che è il 2 settembre 1827 quando san Giuseppe Cottolengo assiste una donna gravida che da Milano andava a Lione. Questa donna muore sotto i suoi occhi  – lui era stato chiamato come sacerdote torinese per amministrale i sacramenti – dopo aver dato alla luce una bimba anch’essa morta lasciando così altri tre bambini orfani con il consorte. In quell’occasione il Cottolengo si fa una domanda: come può una persona credere alla Divina Provvidenza se nella sua vita capitano episodi del genere? Egli risolse la crisi che stava vivendo da circa due anni dicendo: “d’ora in poi donerò la mia vita perché simili situazioni non capitino” e ha fondato la Piccola Casa della Divina Provvidenza per accogliere quei malati che non trovavano ospitalità in altri ospedali torinesi. Inizia con volontari laici ma presto fonda congregazioni religiose sia di suore sia di fratelli sia di sacerdoti e anche di vita contemplativa. La sua opera è veramente un’opera completa perché è un bozzetto di comunità ecclesiale dove si vive all’interno di questa comunità carismatica che si chiama Piccola Casa della Divina Provvidenza con tutte le vocazioni possibili e questa famiglia religiosa nel tempo si è ramificata diventando una famiglia multipla con i fratelli cottolenghini laici, religiosi, suore sia di vita apostolica che contemplativa e i sacerdoti. Sempre di più ci sono collaboratori laici e alcuni di questi chiedono di appartenere in una forma sempre più stretta a questa realtà. Questo albero si innesta poi nell’albero vincenziano e si è diffuso in tutto il mondo: Italia, India, Tanzania, Kenya, Etiopia, Ecuador, USA.
In cosa questa opera riflette di più il carisma vincenziano?Io penso che non si possa comprendere il Cottolengo se non alla luce della spiritualità vincenziana nel cui albero si è innestato. Due episodi: quando il Cottolengo ha vissuto questo momento di crisi non tanto sul suo essere sacerdote ma sul mondo in cui egli viveva il suo ministero sacerdotale, il canonico Valletti che era il presidente della Collegiata in cui viveva, gli diede da leggere una vita di San Vincenzo de’ Paoli con  una motivazione abbastanza originale:  visto che si era ammutolito parecchio, gli disse “prendi questa vita e leggila così che quando vieni a tavola avrai qualcosa da raccontare”. Cottolengo era una persona molto allegra quindi vederlo provato interiormente era una cosa che colpiva chi lo conosceva. È stata proprio la vita di san Vincenzo ad illuminare  l’episodio del 2 settembre  di cui parlavo prima e che ha fatto comprendere come il ministero sacerdotale del Cottolengo doveva diventare ora quello di essere servo dei poveri cioè testimoniare l’amore di Dio verso coloro che erano esclusi. Papa Francesco direbbe oggi verso le periferie esistenziali, verso coloro che sono vittima della cultura dello scarto. Non solo: tutte le congregazioni da lui fondate sono state messe sotto la protezione di San Vincenzo de’ Paoli. Il nome completo dell’opera è: “Piccola Casa della Divina Provvidenza sotto gli auspici di San Vincenzo de’ Paoli”. Le suore che sono state fondate da Cottolengo sono le cosiddette Vincenzine. Questo non dice solo una nomenclatura esterna, questo dice una questione di sostanza: egli voleva che lo stile con cui le suore dovevano servire i poveri era quello insegnato da San Vincenzo.  I detti del Cottolengo sono sostanzialmente di letteratura vincenziana
Come vi state preparando all’incontro di gennaio 2020?
Con una grande gioia anzitutto. Per noi è una grande soddisfazione questa iniziativa che spero non sia solo un evento. Io penso che come il Cottolengo ha illuminato la sua vita nella comunione con il carisma vincenziano così ancora oggi nella comunione fra le diverse famiglie religiose, dove ciascuna va a sottolineare un aspetto originale, possa venire fuori anche qualcosa di nuovo. Papa Francesco parlando ai partecipanti al capitolo generale dei sacerdoti di Schönstatt ha detto: “Voi sapete che un carisma non è un pezzo da museo, che resta intatto in una vetrina, per essere contemplato e nulla più. La fedeltà, il mantenere puro il carisma, non significa in alcun modo chiuderlo in una bottiglia sigillata, come se fosse acqua distillata, affinché non sia contaminato dall’esterno. No, il carisma non si conserva tenendolo da parte; bisogna aprirlo e lasciare che esca, affinché entri in contatto con la realtà, con le persone, con le loro inquietudini e i loro problemi” con l’orecchio nel cuore di Dio e la mano nel polso del tempo. Io spero che questa convocazione oltre a essere occasione di incontro fra le diverse realtà e quindi di conoscenza, di comunione, di approfondimento, sia anche un’occasione importante per capire come i carismi vincenziani, se vogliamo dirlo al plurale, cioè i carismi nati dall’intuizione di san Vincenzo, possano incontrare oggi la storia, possano essere oggi quella profezia che San Vincenzo e il Cottolengo sono stati per il loro tempo perché altrimenti facciamo un monumento ai caduti, cioè facciamo una commemorazione che guarda il passato ma non riesce a dire una parola profetica, cioè nel nome di Dio oggi. Questa è una sfida molto grande. È importante dire cosa facciamo noi ma anche chiederci cosa possiamo fare insieme per questo mondo che produce ancora tante vittime della cultura dello scarto. Due cose quindi: la comunione e l’attualità di questo carisma.
https://www.youtube.com/watch?v=i0kOD8a9SjI

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