Come e quando è avvenuta la vostra fondazione?
Noi
abbiamo una data discriminante che è il 2 settembre 1827 quando san
Giuseppe Cottolengo assiste una donna gravida che da Milano andava a
Lione. Questa donna muore sotto i suoi occhi –
lui era stato chiamato come sacerdote torinese per amministrale i
sacramenti – dopo aver dato alla luce una bimba anch’essa morta
lasciando così altri tre bambini orfani con il consorte. In
quell’occasione il Cottolengo si fa una domanda: come può una persona
credere alla Divina Provvidenza se nella sua vita capitano episodi del
genere? Egli risolse la crisi che stava vivendo da circa due anni
dicendo: “d’ora in poi donerò la mia vita perché simili situazioni non
capitino” e ha fondato la Piccola Casa della Divina Provvidenza per
accogliere quei malati che non trovavano ospitalità in altri ospedali
torinesi. Inizia con volontari laici ma presto fonda congregazioni
religiose sia di suore sia di fratelli sia di sacerdoti e anche di vita
contemplativa. La sua opera è veramente un’opera completa perché è un
bozzetto di comunità ecclesiale dove si vive all’interno di questa
comunità carismatica che si chiama Piccola Casa della Divina Provvidenza
con tutte le vocazioni possibili e questa famiglia religiosa nel tempo
si è ramificata diventando una famiglia multipla con i fratelli
cottolenghini laici, religiosi, suore sia di vita apostolica che
contemplativa e i sacerdoti. Sempre di più ci sono collaboratori laici e
alcuni di questi chiedono di appartenere in una forma sempre più
stretta a questa realtà. Questo albero si innesta poi nell’albero
vincenziano e si è diffuso in tutto il mondo: Italia, India, Tanzania,
Kenya, Etiopia, Ecuador, USA.
In cosa questa opera riflette di più il carisma vincenziano?Io
penso che non si possa comprendere il Cottolengo se non alla luce della
spiritualità vincenziana nel cui albero si è innestato. Due episodi:
quando il Cottolengo ha vissuto questo momento di crisi non tanto sul
suo essere sacerdote ma sul mondo in cui egli viveva il suo ministero
sacerdotale, il canonico Valletti che era il presidente della Collegiata
in cui viveva, gli diede da leggere una vita di San Vincenzo de’ Paoli
con una motivazione abbastanza originale: visto
che si era ammutolito parecchio, gli disse “prendi questa vita e
leggila così che quando vieni a tavola avrai qualcosa da raccontare”.
Cottolengo era una persona molto allegra quindi vederlo provato
interiormente era una cosa che colpiva chi lo conosceva. È stata proprio
la vita di san Vincenzo ad illuminare l’episodio del 2 settembre di
cui parlavo prima e che ha fatto comprendere come il ministero
sacerdotale del Cottolengo doveva diventare ora quello di essere servo
dei poveri cioè testimoniare l’amore di Dio verso coloro che erano
esclusi. Papa Francesco direbbe oggi verso le periferie esistenziali,
verso coloro che sono vittima della cultura dello scarto. Non solo:
tutte le congregazioni da lui fondate sono state messe sotto la
protezione di San Vincenzo de’ Paoli. Il nome completo dell’opera è:
“Piccola Casa della Divina Provvidenza sotto gli auspici di San Vincenzo
de’ Paoli”. Le suore che sono state fondate da Cottolengo sono le
cosiddette Vincenzine. Questo non dice solo una nomenclatura esterna,
questo dice una questione di sostanza: egli voleva che lo stile con cui
le suore dovevano servire i poveri era quello insegnato da San Vincenzo. I detti del Cottolengo sono sostanzialmente di letteratura vincenziana
Come vi state preparando all’incontro di gennaio 2020?
Con
una grande gioia anzitutto. Per noi è una grande soddisfazione questa
iniziativa che spero non sia solo un evento. Io penso che come il
Cottolengo ha illuminato la sua vita nella comunione con il carisma
vincenziano così ancora oggi nella comunione fra le diverse famiglie
religiose, dove ciascuna va a sottolineare un aspetto originale, possa
venire fuori anche qualcosa di nuovo. Papa Francesco parlando ai
partecipanti al capitolo generale dei sacerdoti di Schönstatt ha detto:
“Voi sapete che un carisma non è un pezzo da museo, che resta intatto in
una vetrina, per essere contemplato e nulla più. La fedeltà, il
mantenere puro il carisma, non significa in alcun modo chiuderlo in una
bottiglia sigillata, come se fosse acqua distillata, affinché non sia
contaminato dall’esterno. No, il carisma non si conserva tenendolo da
parte; bisogna aprirlo e lasciare che esca, affinché entri in contatto
con la realtà, con le persone, con le loro inquietudini e i loro
problemi” con l’orecchio nel cuore di Dio e la mano nel polso del tempo.
Io spero che questa convocazione oltre a essere occasione di incontro
fra le diverse realtà e quindi di conoscenza, di comunione, di
approfondimento, sia anche un’occasione importante per capire come i
carismi vincenziani, se vogliamo dirlo al plurale, cioè i carismi nati
dall’intuizione di san Vincenzo, possano incontrare oggi la storia,
possano essere oggi quella profezia che San Vincenzo e il Cottolengo
sono stati per il loro tempo perché altrimenti facciamo un monumento ai
caduti, cioè facciamo una commemorazione che guarda il passato ma non
riesce a dire una parola profetica, cioè nel nome di Dio oggi. Questa è
una sfida molto grande. È importante dire cosa facciamo noi ma anche
chiederci cosa possiamo fare insieme per questo mondo che produce ancora
tante vittime della cultura dello scarto. Due cose quindi: la comunione
e l’attualità di questo carisma.
https://www.youtube.com/watch?v=i0kOD8a9SjI
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