In January 1940the Superiors of three of the leading Religious Communities of the church of England: The Society of S John the Evangelist, The Community of the Resurrection and the Society of the Sacred Mission called the clergy to form a company of Mission Priests, who would undertake to remain free from personal and financial obligations of marriage and family life so that they could work, if necessary without a full stipend, and be available to go wherever they might be needed. The suggestion was that these Mission Priests would not take vows as a religious community, but would bind themselves to this form of Apostolic Life by a solemn Promise to be renewed annually. Since then the Company of Mission Priests has grown and has continued to serve both Church and people, primarily in the large housing estates and inner-city areas of England.
In what way does your Congregation reflect the Vincentian charism? After the decision of the General Synod of the Church of England in 1992 to move towards the ordination of women to the priesthood the Company faced an uncertain future. At General Chapter in 1994 which took the form of Pilgrimage to the Shrine of Our Lady of Walsingham to ask her prayers for God’s guidance about the future we faced four alternative courses of action: Dissolution of the Company; Hibernation (remaining in existence for those already members only); Amalgamation or linking up with another compatible body; Re-launch. After pray and discussion The Company opted for Re-launch and to look at Amalgamation. In 1995 our annual chapter was addressed by Fr Fergus Kelly, who had welcomed us to Damascus House in 1994 as “fellow Mission Priests”. it was clear from his presentation that our 10 precepts of membership was Vincentian: Observe simplicity of life; remain unmarried; observe a Rule of Life governing prayer, fasting, study, pastoral work and recreation; Observe the rue of our Houses; Use the Company Prayer daily to pray for each other and our work; Offer the Mass once a month for the work of the Company; Consult the Warden of the Company upon new work being offered; Attend as of obligation annual General Chapter and give an account of our work over the year and renew our Promise; Attend local chapter meetings and cells (if any) to support and encourage each other in our work.
What are your hopes and expectations for the Vincentian charism as we approach the meeting with the leaders of the Vincentian Family scheduled for January 2020 in Rome. The Company of Mission Priests would hope that the Vincentian Charism would continue and develop S Vincent de Paul’s vision to work together in practical ways and on ventures that better the quality of life of those in most desperate need; that we continue to deepen our spirituality as individuals and as well as a Company to work in our various callings as we engage in Mission; that we continue to work for a systemic change in society and oppose structural injustice and work for justice; that we continue to serve support and serve those trapped in their poverty.
Come e quando è avvenuta la vostra fondazione? Noi
abbiamo una data discriminante che è il 2 settembre 1827 quando san
Giuseppe Cottolengo assiste una donna gravida che da Milano andava a
Lione. Questa donna muore sotto i suoi occhi –
lui era stato chiamato come sacerdote torinese per amministrale i
sacramenti – dopo aver dato alla luce una bimba anch’essa morta
lasciando così altri tre bambini orfani con il consorte. In
quell’occasione il Cottolengo si fa una domanda: come può una persona
credere alla Divina Provvidenza se nella sua vita capitano episodi del
genere? Egli risolse la crisi che stava vivendo da circa due anni
dicendo: “d’ora in poi donerò la mia vita perché simili situazioni non
capitino” e ha fondato la Piccola Casa della Divina Provvidenza per
accogliere quei malati che non trovavano ospitalità in altri ospedali
torinesi. Inizia con volontari laici ma presto fonda congregazioni
religiose sia di suore sia di fratelli sia di sacerdoti e anche di vita
contemplativa. La sua opera è veramente un’opera completa perché è un
bozzetto di comunità ecclesiale dove si vive all’interno di questa
comunità carismatica che si chiama Piccola Casa della Divina Provvidenza
con tutte le vocazioni possibili e questa famiglia religiosa nel tempo
si è ramificata diventando una famiglia multipla con i fratelli
cottolenghini laici, religiosi, suore sia di vita apostolica che
contemplativa e i sacerdoti. Sempre di più ci sono collaboratori laici e
alcuni di questi chiedono di appartenere in una forma sempre più
stretta a questa realtà. Questo albero si innesta poi nell’albero
vincenziano e si è diffuso in tutto il mondo: Italia, India, Tanzania,
Kenya, Etiopia, Ecuador, USA. In cosa questa opera riflette di più il carisma vincenziano?Io
penso che non si possa comprendere il Cottolengo se non alla luce della
spiritualità vincenziana nel cui albero si è innestato. Due episodi:
quando il Cottolengo ha vissuto questo momento di crisi non tanto sul
suo essere sacerdote ma sul mondo in cui egli viveva il suo ministero
sacerdotale, il canonico Valletti che era il presidente della Collegiata
in cui viveva, gli diede da leggere una vita di San Vincenzo de’ Paoli
con una motivazione abbastanza originale: visto
che si era ammutolito parecchio, gli disse “prendi questa vita e
leggila così che quando vieni a tavola avrai qualcosa da raccontare”.
Cottolengo era una persona molto allegra quindi vederlo provato
interiormente era una cosa che colpiva chi lo conosceva. È stata proprio
la vita di san Vincenzo ad illuminare l’episodio del 2 settembre di
cui parlavo prima e che ha fatto comprendere come il ministero
sacerdotale del Cottolengo doveva diventare ora quello di essere servo
dei poveri cioè testimoniare l’amore di Dio verso coloro che erano
esclusi. Papa Francesco direbbe oggi verso le periferie esistenziali,
verso coloro che sono vittima della cultura dello scarto. Non solo:
tutte le congregazioni da lui fondate sono state messe sotto la
protezione di San Vincenzo de’ Paoli. Il nome completo dell’opera è:
“Piccola Casa della Divina Provvidenza sotto gli auspici di San Vincenzo
de’ Paoli”. Le suore che sono state fondate da Cottolengo sono le
cosiddette Vincenzine. Questo non dice solo una nomenclatura esterna,
questo dice una questione di sostanza: egli voleva che lo stile con cui
le suore dovevano servire i poveri era quello insegnato da San Vincenzo. I detti del Cottolengo sono sostanzialmente di letteratura vincenziana Come vi state preparando all’incontro di gennaio 2020? Con
una grande gioia anzitutto. Per noi è una grande soddisfazione questa
iniziativa che spero non sia solo un evento. Io penso che come il
Cottolengo ha illuminato la sua vita nella comunione con il carisma
vincenziano così ancora oggi nella comunione fra le diverse famiglie
religiose, dove ciascuna va a sottolineare un aspetto originale, possa
venire fuori anche qualcosa di nuovo. Papa Francesco parlando ai
partecipanti al capitolo generale dei sacerdoti di Schönstatt ha detto:
“Voi sapete che un carisma non è un pezzo da museo, che resta intatto in
una vetrina, per essere contemplato e nulla più. La fedeltà, il
mantenere puro il carisma, non significa in alcun modo chiuderlo in una
bottiglia sigillata, come se fosse acqua distillata, affinché non sia
contaminato dall’esterno. No, il carisma non si conserva tenendolo da
parte; bisogna aprirlo e lasciare che esca, affinché entri in contatto
con la realtà, con le persone, con le loro inquietudini e i loro
problemi” con l’orecchio nel cuore di Dio e la mano nel polso del tempo.
Io spero che questa convocazione oltre a essere occasione di incontro
fra le diverse realtà e quindi di conoscenza, di comunione, di
approfondimento, sia anche un’occasione importante per capire come i
carismi vincenziani, se vogliamo dirlo al plurale, cioè i carismi nati
dall’intuizione di san Vincenzo, possano incontrare oggi la storia,
possano essere oggi quella profezia che San Vincenzo e il Cottolengo
sono stati per il loro tempo perché altrimenti facciamo un monumento ai
caduti, cioè facciamo una commemorazione che guarda il passato ma non
riesce a dire una parola profetica, cioè nel nome di Dio oggi. Questa è
una sfida molto grande. È importante dire cosa facciamo noi ma anche
chiederci cosa possiamo fare insieme per questo mondo che produce ancora
tante vittime della cultura dello scarto. Due cose quindi: la comunione
e l’attualità di questo carisma. https://www.youtube.com/watch?v=i0kOD8a9SjI
Fratel Marco come e quando è avvenuta la vostra fondazione? Bisogna
fare un viaggio nel tempo e nello spazio. Dobbiamo andare in Belgio,
inizio sec. XIX. Lì c’è un sacerdote Vittore Scheppers, (1802-1877)
appartenente alla nobiltà di Malines che ordinato prete all’età di 30
anni ha come primo incarico quello di seguire l’andamento di alcune
scuole parrocchiali. L’incontro
con questo mondo scolastico gli fa capire l’urgenza di portare
l’educazione anche a tanti giovani che ancora non la frequentavano. A
quel tempo frequentare la scuola non era ancora un obbligo. Comprende
l’opportunità di invitare tanti giovani operai nella sua casa dove ha
fatto scuola pomeridiana e domenicale. Ciò che lo spinge a fondare la
Congregazione dei Fratelli di N.S. della Misericordia è l’incontro con
il mondo delle carceri avvenuto in modo casuale o meglio provvidenziale.
Era stato infatti invitato a una cerimonia nelle carceri di Vilvoord e
vedendo la condizione pietosa dei carcerati dice “qui dobbiamo fare
qualcosa”. E
questo è un ulteriore spinta al suo desiderio di fondare una
congregazione. La decisione avviene il 19 luglio 1837, festa di San
Vincendo de’ Paoli: don Vittore si era recato in preghiera a un
santuario mariano del Belgio e alla fine di questa preghiera, capendo
anche di essere stato assistito da San Vincenzo dice “sì, è il momento
di fondare una congregazione”. La Congregazione vedrà la luce il 25
gennaio 1839, il primo nome della Congregazione è “Fratelli della Carità
di San Vincenzo de’ Paoli”. Poi per dare più spazio alla Vergine Maria
ecco il nome attuale. Tre gli obiettivi di questo nuovo Istituto:
assistere i carcerati vivendo nelle carceri con loro, assistere i malati
e l’istruzione della gioventù. In
cosa Fratel Marco la vostra Congregazione riflette maggiormente il
carisma vincenziano? Qual è la parola “che più fa rima” con san Vincenzo
de’ Paoli? Penso
misericordia. Noi siamo Fratelli di N.S. della Misericordia e la
misericordia è sicuramente molto legata a San Vincenzo de’ Paoli, il
santo della carità. Misericordia vuol dire aprire il cuore a chi ne ha
più bisogno, questo è quello che cerchiamo di fare, questo è quello che
ha cercato di fare e c’è riuscito san Vincenzo de’ Paoli. Se mettiamo al
centro del nostro essere la misericordia assomigliamo tantissimo a san
Vincenzo e al suo carisma. Il nostro fondatore poi ci ha trasmesso un
motto molto significativo: l’onore a Dio, a me la fatica e l’utilità al
prossimo. Anche in questo la congregazione è molto vincenziana: tutto
parte da questo amore per Dio che si rivolge concretamente al prossimo.
Tutto questo vuol dire rimboccarsi le maniche per poter portare questo
amore di Dio al prossimo. Altre cose che ci legano alla spiritualità di
san Vincenzo sono legate allo stile di vivere la misericordia, la
carità. Vincenzo poneva a fondamento l’umiltà e lo stesso fa il nostro
fondatore che dice che l’umiltà deve essere il fondamento della
Congregazione. Una carità molto pratica e concreta e un apostolato che
ha uno stile particolare: innanzitutto perché partire dalla preghiera ci
permette di vedere nel prossimo la figura di Gesù: sia nel malato, sia
nello studente sia nel tossicodipendente siamo portati a vedere la
figura di Gesù e questo lo faceva anche san Vincenzo. Gennaio
2020 dove la famiglia vincenziana raccoglie tutte le realtà che le sono
vicine: quali sono le aspettative della vostra Congregazione? La
domanda più difficile… quasi non so cosa aspettarmi ma riflettendoci
posso dare due risposte. La nostra Congregazione deve riscoprire lo
spirito vincenziano che c’era alle origini e penso che questo grande
incontro sarà una buona occasione per poterlo fare. Come superiore ho la
fortuna di mettermi in ascolto, di imparare, di capire tante cose di
questo spirito vincenziano e sarà mia premura comunicarle ai fratelli.
La mia prima aspettativa è quindi di imparare molto. La seconda mia
aspettativa: poter fare lavoro di gruppo. Sono convinto che ogni realtà
che sarà presente all’incontro faccia già molto, però pensare insieme,
progettare insieme nella speranza di poter fare insieme penso sia una
cosa meravigliosa che dà un messaggio ancora più forte e più bello di
quello che ogni Istituto da solo può portare e realizzare. https://www.youtube.com/watch?v=p4psG-U9H-Y
Missionari… Bocconisti… Servi dei poveri… Come e quando è avvenuta la fondazione? Nella
seconda metà dell’800 per opera del prima medico chirurgo e poi
sacerdote Giacomo Cusmano, prima medico dei corpi e poi medico delle
anime. Da giovane Giacomo Cusmano ha esercitato la professione medica
come una missione e ha avuto la possibilità di incontrare tante persone a
cui cercava di dare qualcosa di spirituale secondo lo spirito del
Vangelo e si accorse che gli ammalati non sempre rimanevano soddisfatti
perché tante persone desideravano qualcosa in più. Il Cusmano avviò una
lunga riflessione personale chiedendo consiglio anche al suo direttore
spirituale canonico Domenico Turano che lo spinse a dare la sua vita in
maniera più speciale per gli altri, facendosi sacerdote. Cusmano non si
credeva degno ma nel 1860 si è dato agli altri diventando sacerdote: “ho
consacrato la mia vita per i poveri e per sollevarli dalle loro miserie
e portarli a Gesù” disse padre Cusmano. In cosa la vostra congregazione riflette il carisma vincenziano? La
sacramentalità del povero certamente: il povero è sacramento di Gesù
Cristo, questo era il pensiero di San Vincenzo e padre Giacomo lo fece
proprio per comunicarlo agli altri e lo inculcava ai suoi
collaboratori. I poveri sono nostri signori e padroni, diceva san
Vincenzo, e questo concetto è entrato completamente nella mente di
padre Giacomo ed è la cosa più importante anche per la nostra realtà.
Lasciare Dio per Dio: avere quella capacità di non essere presente alla
preghiera solo e soltanto perché in quel momento sto facendo quel
servizio per il povero e il povero che mi rappresenta Gesù Cristo merita
questo e altro. Aspettative da gennaio 2020 Inventare
qualcosa con cui collaborare tutti insieme per venire incontro alle
necessità e povertà di questi tempi: siamo molto stimolati in questo
senso da Papa Francesco. Se potessimo così organizzare qualcosa insieme
come famiglia Vincenziana sarebbe meraviglioso, mettendo in evidenza
fra di noi il senso di Chiesa con lo spirito caratteristico e
carismatico di san Vincenzo. Occorre fare qualcosa per andare incontro a
coloro che sono lontani da Dio, lontani dalla Chiesa, che dicono di
non avere fede, inventare qualcosa insieme per aiutarli perché questa è
una povertà più grande di chi non ha nulla materialmente. https://www.youtube.com/watch?v=kfmh1bo3bpA
Come e quando è avvenuta la vostra fondazione? Noi siamo nate a Besançon in Francia esattamente tra fine ‘700 ed inizio 800. La data che ricordiamo un pò come una memoria è l’11 aprile 1799 quando Giovanna Antida Thouret inizia, lei dice e ricorda, “tutta sola nel segno del carisma vincenziano”. Era vissuta tra le Figlie della Carità 6 anni in piena Rivoluzione, aveva dovuto lasciare la Compagnia a causa appunto degli eventi rivoluzionari, ritorna a Besançon e, dopo una serie di vicissitudini, riprende lì dove aveva lasciato, cioè nel servizio ai poveri, da buona Figlia di Vincenzo de’ Paoli. Ebbene lei comincia tutta sola e comincia questa storia che direi potremo indicare un pò come storia iniziale, in un tempo che va tra fine ‘700 ed i primi dieci anni del 1800, tra Besançon e Napoli perchè Giovanna Antida Thouret continua il suo carisma e lo sviluppa a Napoli lì dove va chiamata dalla madre di Napoleone per conto di Gioacchino Murat. Ebbene il servizio spirituale e temporale dei poveri diventa il leitmotiv, il motivo vero della fondazione, secondo lo spirito vincenziano. Alle sue figlie ricorderà sempre in tutti i suoi scritti Vincenzo come il fondatore, il padre, il padrone, l’istitutore, il modello. Vincenzo rimane sullo sfondo della nostra fondazione. In cosa la vostra Congregazione riflette in particolare modo il carisma vincenziano? Lo riflette fondamentalmente per due ragioni, innanzitutto per il senso stesso del carisma: servire i poveri perché sono il corpo sofferente del Cristo. Servire come i poveri? In quel “come” noi ci vediamo moltissimo di Vincenzo. Con cordialità, con compassione, con compostezza. Addirittura quando le suore arrivano presso i poveri: la riverenza. Era tipico della esperienza vincenziana riverire, inchinarsi davanti ai poveri. Ecco lei questo lo porta addirittura anche a livello di regola. Sentiamo che Vincenzo resta veramente sullo sfondo delle Suore della Carità. Non a caso in due secoli la maggior parte delle nostre opere sono tutte intitolate a Vincenzo, Monsieur Vincent, come lei amava dire. Attese e aspettative per il carisma Vincenziano mentre ci avviciniamo all’incontro con i leaders della Famiglia Vincenziana in programma nel gennaio del 2020 a Roma. Direi che c’è da parte nostra una aspettativa, la chiamerei una aspettativa madre, una collaborazione sempre più intensa proprio nel servizio. Noi un pò dappertutto nel mondo dove siamo incontriamo i Vincenziani, ci troviamo sempre bene con loro. Sogniamo una inter-congregazionalità sempre più forte perché possa il carisma essere vissuto in tutta la sua pienezza. Questo da una parte, dall’altro la formazione. Sempre di più noi ameremmo che nella formazione quelli che sono i “governi” delle congregazioni potessero ritrovarsi sempre più vicini per avere itinerari formativi comuni, itinerari sempre più Vincenziani.
Marie Louise Angelique, nata ad Auch, nel sud della Francia, il 6 aprile 1817, entrò nelle Figlie della Carità nel 1842 a Parigi. Dopo un’esperienza di cinque anni come insegnante elementare, nel 1848 parti per l’Algeria. Dopo tre anni dovette tornare in patria per motivi di salute. Rimessasi in salute, nel 1853 fu destinata a Torino. Dopo alcuni mesi, la serva di Dio venne incaricata dell’apertura di un centro presso la parrocchia di S. Massimo in Torino in cui si distribuiva la minestra ai poveri ed erano state aperte alcune classi scolastiche per combattere l’analfabetismo. La giovane suora si imbatté però in molte orfane abbandonate e le accolse in casa. In breve tempo i locali divennero insufficienti e si trovò un nuovo sito in cui accogliere anche alcuni malati. D’accordo con Padre Durando, la Serva di Dio andò moltiplicando le opere assistenziali alla cui guida vi erano sempre le Figlie o le Dame della Carità. Occorreva ormai un fabbricato indipendente e, grazie al contributo delle Dame di Carità e di Madre Clarac, riuscì a comprare un edificio in via S. Pio V, inaugurandovi nel 1866 una cappella dedicata a Nostra Signora del Sacro Cuore. Nel 1870-1871 si verificò la sua uscita dalle Figlie della Carità, fondamentalmente dovuta alla decisione da parte delle autorità dell’Istituto di farsi devolvere dalla Serva di Dio le diverse proprietà e fondi di cui era a disposizione. La Serva di Dio, facendo appello alle regole vincenziane per cui le Figlie della Carità non costituivano un Istituto religioso e i singoli membri di conseguenza non emettevano voti pubblici, rifiutò e, di fronte all’intransigenza dei superiori, si vide costretta a lasciare la Congregazione, continuando a indossare la tradizionale cornetta vincenziana. Si rivolse quindi a monsignor Luigi Moreno, vescovo di Ivrea, perché le consigliasse la via da seguire. Egli le consigliò di separarsi dalle Figlie della Carità. Il 3 maggio 1871 è la data ufficiale di fondazione delle SCSM.
In cosa la vostra Congregazione riflette il carisma vincenziano?
La nostra Fondatrice, Madre Clarac,
volle mantenere vivo lo spirito di carità materiale e spirituale di San
Vincenzo di Paoli servendo i poveri come i suoi padroni e maestri nella
semplicità e nell’umiltà.
Attese e aspettative per il carisma Vincenziano mentre ci avviciniamo all’incontro con i leader della Famiglia Vincenziana in programma nel gennaio del 2020 a Roma.
Le nostre aspettative sono di conoscere
ed interagire con la grande famiglia vincenziana per: riaccendere il fuoco di
carità che ardeva nel cuore di San Vincenzo e nella Nostra Fondatrice per i
poveri del nostro tempo; assumere uno stile sempre più umile, semplice, mite e
pieno di zelo per Dio; cercare insieme nuove vie per il servizio dei poveri di
oggi.
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